Sostituzione di molare con corona singola supportata da due impianti

Marzo, 2005
Exacone News 2

Autori: Prof. Carlo Mangano, Dr. Sergio Montini, Dr. Francesco Mangano, Dr. Michelangelo Restuccia.

La riabilitazione delle monoedentulie con corone impianto-supportate è diventata una pratica sempre più comune nella moderna implantologia1-3. Il successo degli impianti osteointegrati è largamente documentato nella letteratura, ma la maggior parte degli studi clinici con impianti singoli riguardano le regioni anteriori dei mascellari4-5. La regione posteriore delle arcate è infatti generalmente considerata come la zona a maggior rischio di insuccesso implantare, in particolar modo a livello del 2° molare6-8. La sostituzione di un singolo molare deve tenere in considerazione fattori anatomici e morfologici, come la presenza del seno mascellare e del nervo alveolare inferiore, che riducendo quantitativamente la disponibilità ossea costringono il clinico ad utilizzare impianti di piccole dimensioni, con maggior rischio di fallimento. D’altra parte, è noto come le forze occlusali siano più rappresentate nella regione molare che in quella incisiva, e stress elevati a livello dell’osso e delle componenti implantari associati alla scarsa qualità ossea aumentino in queste zone le probabilità di insuccesso9-10.

Le complicazioni legate all’uso di impianti di diametro standard che supportino corone singole in zona molare sono numerose e conosciute; Jemt11 nel primo anno di osservazione di uno studio su impianti singoli nelle regioni molari ha descritto come l’allentamento della vite di connessione si verificasse  con un’incidenza del 26%. E’ noto come la sezione della superficie della corona di un molare a livello amelo-cementizio sia circa 100 mm2, mentre quella di un impianto di diametro 3.75 mm sia solamente 10.95 mm2. Questa ridotta superficie in una zona critica di scarico delle forze masticatorie genera delle forze di torsione e di flessione12. Gli impianti di diametro 3.75 mm forniscono inoltre una insufficiente superficie di supporto, poiché i denti posteriori hanno due o tre radici e dispongono di un’area totale di ancoraggio di 450-533 mm2  nell’osso in buono stato, mentre un impianto di diametro 3.75 mm presenta una superficie variabile fra 72 e 256 mm2  in funzione della lunghezza.

Becker e Becker13 hanno riportato un’incidenza del 38% di allentamento della vite di connessione in corone  molari supportate da un unico impianto di diametro 3.75 mm, pur escludendo dal loro studio i pazienti riconosciuti affetti da parafunzioni e dopo avere ridotto i tavolati occlusali delle corone.

In un altro studio clinico su impianti di diametro 3.75 mm, utilizzati  per la sostituzione di un singolo molare, si è rilevata la rottura della vite endoossea o dell’abutment nel 14% dei casi14. La differenza fra il diametro di un molare naturale e quello di un impianto standard può poi creare problemi di natura igienica ed estetica, in quanto risulta più difficile ottenere un profilo di emergenza appropriato15. Per ovviare a questo tipo di situazioni, Langer16 e Lazzara17suggerirono l’uso di impianti con diametro maggiore, e su tale argomento esistono diversi studi. Alcuni autori hanno riportato percentuali di successo del 95-98% con impianti di diametro ampio nella sostituzione di molari13,18.

Le principali controindicazioni all’uso di impianti con diametro ampio riguardano essenzialmente la mancanza di spazio vestibolo-linguale e le problematiche biomeccaniche che portano alla rottura o all’allentamento della vite di connessione19.

Materiali e metodi

Un paziente maschio di 45 anni è stato trattato per la sostituzione di un singolo molare con due impianti in zona 46. Il criterio di selezione adottato prevedeva la mancanza di un dente molare che avesse denti adiacenti naturali e l’assenza di malattie e condizioni sistemiche tali da controindicare il trattamento stesso.

Gli impianti, di diametro 3,3 mm e lunghezza 14 mm, presentano una connessione fixture-moncone di tipo conometrico (fig. 1).

Dopo un periodo di guarigione di circa 3 mesi, sono stati rimossi i tappi chirurgici e sono stati posizionati i tappi di guarigione (fig. 2).

A distanza di una settimana sono state rilevate le impronte per la costruzione della corona provvisoria in metallo-resina e contemporaneamente della cappetta per la futura corona in ceramica. I tessuti mucosi si presentavano in ottime condizioni di salute (figg. 3-5).

Si applicava, dopo circa una settimana, la corona provvisoria che venne mantenuta per 3 mesi al fine di guidare la completa guarigione dei tessuti mucogengivali (fig. 6).

Il controllo radiografico (fig. 7) evidenziava una buona

risposta del tessuto osseo in considerazione anche della rigenerazione con idrossiapatite porosa (Engipore, Finceramica Faenza) effettuata al momento chirurgico del posizionamento degli impianti. Trascorso tale periodo, veniva realizzata e cementata (con cemento provvisorio) la corona definitiva in oro-ceramica (fig. 8). Il controllo radiografico (fig. 9) a distanza di un anno dalla chirurgia mostrava il completo ripristino del livello osseo perimplantare evidenziando come sia i tessuti duri che quelli mucosi rispondano in maniera ottimale alla superficie dell’impianto.

Risultati

Gli impianti non hanno evidenziato segni di complicanze di natura protesica. La stabilità della connessione moncone-impianto e la cementazione della corona sui monconi permettono di evitare le complicanze legate alla presenza di connessioni avvitate descritte in letteratura7-10. I controlli radiografici non hanno evidenziato alcuna perdita d’osso.

Discussione

Dato che gli impianti standard non riescono a soddisfare adeguate esigenze estetiche, igieniche e biomeccaniche, diversi autori hanno suggerito di utilizzare due impianti per sostituire le radici di un molare13,20-23. Thomas19 ha evidenziato come la frequenza dell’allentamento della vite di connessione in impianti di diametro ampio sia più bassa se comparata a quella in monoimpianti di diametro standard, ma più elevata se comparata a quella nel doppio impianto. Balshi e coll.24 hanno pubblicato uno studio comparativo su impianti singoli confrontati con impianti doppi per la sostituzione di un unico molare, ed hanno trovato in entrambi i casi una percentuale di successo cumulativo a 3 anni del 99%, anche se con riassorbimento osseo marginale maggiore nei doppi impianti. Bahat e Handelsman12  confrontando l’uso di impianti Brånemark di diametro ampio con impianti doppi nella mandibola notarono che la percentuale di fallimento era del 2.3% per gli impianti di diametro largo (tempo di caricamento medio 13 mesi) e del 1.6% per gli impianti doppi (tempo di caricamento medio 37 mesi). Questi risultati mostrano il grande vantaggio biomeccanico del doppio impianto come alternativa alla sostituzione di un molare singolo12,19,21,23,24. L’unico inconveniente nell’utilizzo di doppi impianti è dato dall’eventuale mancanza di spazio mesio-distale, che può rendere necessario un intervento ortodontico sui denti vicini, prima della procedura chirurgia, per ricreare uno spazio naturale25. Lo spazio mesio-distale minimo per l’inserimento dei 2 impianti è di 12 mm circa, perché questa distanza è la somma dei diametri dei 2 impianti, dello spazio interimplantare minimo di 1,5 mm e della distanza minima fra gli impianti e le radici dei denti adiacenti che dovrebbe essere anch’essa di almeno 1,5 mm12,19,25. Romanos26  utilizzando impianti singoli che prevedevano una connessione moncone-impianto di tipo conico evidenziò un successo del 96,5%, riportando pertanto minori complicanze rispetto a connessioni di tipo avvitato. L’impiego di due impianti associato alla connessione conometrica fra moncone-impianto ha mostrato, nelle regioni molari, una maggiore resistenza alle forze masticatorie, la mancanza di complicanze di tipo protesico e il successo degli impianti durante il periodo di osservazione27.

Conclusioni

Oggi le uniche alternative alla protesi tradizionale per la sostituzione di un singolo molare sono rappresentate dagli impianti singoli (standard o di diametro largo) o da due impianti. Per riabilitare le regioni posteriori della cavità orale è necessario utilizzare protocolli implantari differenti rispetto alle zone anteriori, perché gli impianti standard non sono in grado di resistere in maniera affidabile alla funzione svolta da un molare. L’impiego di due impianti sembra essere il metodo di maggior successo sia sotto il profilo estetico ed igienico, sia sotto quello funzionale e biomeccanico. La distribuzione delle forze sull’osso, sugli impianti e sulle componenti protesiche avviene infatti in modo più omogeneo. L’utilizzo di una connessione conometrica moncone-impianto è infine in grado di ridurre drasticamente o addirittura annullare le complicanze di natura protesica presenti nei sistemi a connessione avvitata.

Realizzazioni protesiche: Laboratorio LAB3 di Roberto Cavagna di Bergamo

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