Riabilitazione implantoprotesica di una sella edentula mandibolare con grave atrofia orizzontale gestita con impianti Leone XCN® Narrow 2.9

Ottobre, 2020
Exacone News 30

Autore:
Dr. Cristian Negro
Libero professionista a Lecce

Introduzione

La rigenerazione ossea guidata (GBR) è diventata in odontoiatria, nel corso degli ultimi anni, una procedura terapeutica essenziale nel trattamento dei difetti ossei a scopo implantare. La GBR permette la formazione di nuovo tessuto osseo in sedi in cui sono presenti difetti verticali (deficit di altezza) e/o difetti orizzontali (deficit di spessore) della cresta ossea residua che renderebbero impossibile l’inserimento di impianti dentali. Quindi, in presenza di una cresta ossea sottile e/o bassa, la GBR ci permette di ricostruire il tessuto osseo mancante prima del posizionamento implantare, o contestualmente allo stesso, e quindi di poter riabilitare il cavo orale dei nostri pazienti con protesi fisse supportate da impianti dentali.

Caso clinico

Il caso clinico descritto in questo articolo intende sottolineare come, in alcuni casi assolutamente selezionati, si possa effettuare una chirurgia mini invasiva, sfruttando al meglio i mezzi che l’attuale conoscenza e tecnologia mettono a disposizione del professionista. Fermo restando che, alla base di questo diverso approccio, ci sia sempre una chiara conoscenza di quelle che sono le tecniche più predicibili dettate dalla letteratura e dagli studi clinici in anni di lavoro.
Il caso clinico che esaminiamo riguarda una giovane paziente di anni 40.
In prima visita viene effettuato un attento esame del cavo orale oltre ad una panoramica delle arcate dentarie per valutare radiograficamente lo stato di salute orale dei denti residui e dei tessuti duri (Fig. 1).

La paziente presenta, a livello mascellare, un vecchio circolare superiore in metallo ceramica ancorato su monconi naturali. A livello mandibolare, si evidenziano diverse mancanze dentali soprattutto in sede inferiore destra.
La paziente esprime la sua volontà di voler riabilitare solo la parte inferiore, segnalando la difficoltà nella masticazione a causa della mancanza di più elementi dentali a livello mandibolare.
Dalla panoramica si nota, nelle sedi edentule inferiori, la presenza di una buona altezza della cresta ossea mentre l’esame clinico evidenzia, di contro, uno spessore particolarmente sottile della stessa.
Alla paziente era stata già proposta una protesi mobile o in alternativa un intervento di rigenerazione ossea pre-implantare con innesto autologo a blocco e successiva finalizzazione implanto-protesica. Entrambe le possibilità terapeutiche proposte non incontravano il suo consenso; la prima per motivi psicologici perché, data la giovane età, la paziente non accettava l’idea di avere una protesi removibile, la seconda perché la tecnica chirurgica risultava essere particolarmente invasiva e con lunghi tempi di attesa.
In virtù di queste considerazioni preliminari, è stato richiesto un esame tridimensionale (CBCT o più comunemente Cone Beam) mandibolare, per valutare lo spessore osseo e, sulla base di ciò, improntare poi il successivo piano di trattamento.
La Cone Beam della paziente evidenzia un gravissimo deficit orizzontale a livello della sella edentula mandibolare di destra, con una cresta ossea estremamente sottile che presenta uno spessore ≤ 2 mm per tutta la sua lunghezza mesio-distale, in zona 44, 45 e 46, con una compagine ossea trabecolare ≤ 1 mm (Figg. 2, 3, 4).

Possibilità terapeutiche
Vantaggi e svantaggi

In generale, le opzioni di trattamento per i difetti orizzontali della cresta ossea prevedono gli innesti ossei con diversi tipi di biomateriali (innesti a blocco autologhi, innesti omologhi, innesti eterologhi e sostituti ossei), la rigenerazione ossea guidata (GBR) da sola o in combinazione con procedure di innesto, l’espansione della cresta ossea o split crest e la distrazione osteogenetica.
Rapportando le varie tecniche di rigenerazione orizzontale della cresta ossea sopra descritte a questo particolare caso clinico, le due più predicibili risultano essere l’innesto autologo a blocco e la GBR con Mesh in titanio e/o membrane, con l’ausilio di biomateriali da riempimento.
Entrambe le procedure chirurgiche di aumento orizzontale dell’osso presentano però degli svantaggi. Tra questi, è opportuno sottolineare come, in questo specifico caso in esame, entrambe le tecniche avrebbero previsto due interventi chirurgici differiti (uno per l’innesto a blocco o per la GBR e l’altro, il successivo, per l’inserimento degli impianti). L’innesto a blocco avrebbe implicato due sedi chirurgiche (la sede del prelievo dell’innesto e la sede da rigenerare ricevente l’innesto); entrambe avrebbero previsto lunghi tempi di attesa (6-10 mesi per la rigenerazione e altri 4-6 mesi per la successiva osteointegrazione degli impianti).

Per molti anni l’uso di innesti di osso autologo è stato considerato il “gold standard” per la rigenerazione ossea orizzontale, anche se negli ultimi anni l’uso di biomateriali di sostituzione ossea ha messo in discussione questa scelta o, meglio, ha spinto molti professionisti a valutare tecniche alternative meno invasive e con minor morbilità per il paziente.
Nella tecnica di innesto, un blocco di osso autologo viene normalmente prelevato dalla regione retromolare o dalla sinfisi mandibolare (siti donatori) e fissato nella sede del tessuto osseo da rigenerare (sito ricevente), opportunamente preparato, con viti da osteosintesi. Tuttavia, la tecnica di innesto osseo, oltre a prevedere due siti chirurgici e quindi maggiore morbilità per il paziente, non è scevra da complicanze quali l’esposizione dell’innesto, l’infezione e i disturbi neurosensoriali transitori o permanenti, legati alla sede di prelievo e al rischio di ledere strutture nervose.
Considerando tutti questi aspetti, la scelta di tecniche chirurgiche alternative, che non prevedano l’uso di innesti ossei autologhi e che riducano al minimo le complicanze biologiche, potrebbe offrire un vantaggio clinico significativo.
Nella tecnica di GBR (Rigenerazione Ossea Guidata), biomateriali di diversa origine, soprattutto eterologhi, vengono posizionati nel sito osseo da rigenerare e “protetti” con mesh in titanio e/o membrane, fissate con viti o chiodini da osteosintesi.

Anche questa tecnica, seppur meno invasiva, presenta degli svantaggi. Le membrane riassorbibili, pur avendo il grande vantaggio di non dover rientrare chirurgicamente per rimuoverle essendo le stesse degradabili nel tempo, mostrano scarsa resistenza al collasso e quindi ridotta capacità di mantenere uno spazio o volume adeguato, indispensabile per la rigenerazione ossea. Le membrane non riassorbibili o le mesh in titanio sicuramente hanno il grande vantaggio di mantenere uno spazio adeguato per la rigenerazione dell’osso in un lungo arco di tempo (effetto barriera di lunga durata) ma, nonostante i buoni risultati clinici, si evidenziano frequenti complicanze quali l’esposizione della membrana o della mesh e l’infezione. Un altro limite clinico è la necessità di un secondo intervento chirurgico per la loro rimozione.
Infine, tra le possibilità terapeutiche, un cenno va fatto all’espansione ossea o split crest che, in questo specifico caso in esame, non trova indicazione perché, per poter effettuare un’espansione di cresta ossea predicibile, è necessario avere uno spessore della cresta ≥ 4 mm, con lo spessore dell’osso midollare pari a 2 mm e lo spessore dell’osso corticale pari ad almeno 1 mm su ciascun lato. Pertanto, nel caso clinico affrontato in questo studio, lo split crest avrebbe rappresentato un’alternativa poco predicibile e con un elevato rischio di frattura della compagine ossea, avendo la cresta ossea della paziente uno spessore di soli 2 mm e una compagine midollare ≤ 1 mm. Rischio reso ancora più elevato dal fatto che nel nostro caso si tratta di una cresta ossea sottile per quasi tutta la sua altezza, sia a livello crestale che a livello basale.

Un approccio chirurgico diverso

In virtù delle considerazioni fatte in merito a quale fosse la tecnica chirurgica più predicibile nell’affrontare il caso clinico in questione, con i suoi vantaggi e svantaggi, si è deciso, in accordo con la paziente, di valutare un diverso approccio terapeutico, che fosse meno invasivo e con minor tempi di attesa, pur avendo ben chiaro che l’innesto autologo a blocco o la GBR restano in questo caso specifico la tecnica chirurgica migliore e più predicibile per rigenerare la mancanza di osso orizzontale.
A questo punto, la mia attenzione si è spostata dalle tecniche ai mezzi. L’odontoiatria negli ultimi anni, meglio decenni, ha fatto passi da gigante con l’introduzione di nuove tecnologie e mezzi che semplificano il lavoro e ci permettono di affrontare casi complessi in minor tempo e con maggior “comfort” per il paziente.
La prima valutazione fatta per affrontare questo caso clinico è stata la scelta del diametro degli impianti da inserire.
Se avessi scelto di inserire impianti di diametro ≥ 3.3 mm, diametro auspicabile nella riabilitazione di un settore posteriore soggetto a grandi carichi masticatori, sicuramente avrei dovuto mettere in conto che, avendo una cresta ossea residua di 2 mm, sarebbe stato impossibile non ricorrere alle tecniche chirurgiche di rigenerazione sopra menzionate.

Ho quindi deciso di prendere in considerazione degli impianti di diametro ridotto, nello specifico l’impianto Leone XCN® 2.9; questa scelta è stata dettata dal fatto che, tra le varie categorie di impianti cosidetti “Narrow”, cioè di diametro ≤ 3 mm, l’impianto Leone XCN® presenta una connessione impianto-moncone “conometrica” (quindi senza vite di serraggio) e questo, a mio giudizio, avrebbe assicurato una resistenza meccanica e una stabilità maggiori rispetto a quella di altre connessioni impianto-moncone tradizionali.
Pur avendo scelto un impianto di piccolo diametro, cioè 2.9, la compagine ossea in cui inserire questi impianti è pari a circa 2 mm, per cui ho dovuto prendere in considerazione una tecnica di preparazione del sito implantare che mi permettesse di non perdere osso.
Anche in questo caso, la mia attenzione si è spostata sui mezzi attualmente a nostra disposizione. Infatti, la seconda valutazione fatta per affrontare la preparazione del sito implantare senza consumare osso è stata la scelta di utilizzare delle frese di preparazione del sito implantare che anziché tagliare l’osso, lo compattassero. Nello specifico, ho utilizzato delle frese di osseodensificazione, che non lavorano per sottrazione ma preparano il sito implantare preservando e compattando l’osso già presente. Queste frese risultano particolarmente utili in tutte quelle condizioni cliniche in cui abbiamo a disposizione poco volume osseo soprattutto in spessore, come nel nostro caso clinico. Ciò mi ha permesso di inserire, in una cresta ossea di 2 mm, gli impianti Leone XCN® Narrow di diametro 2.9 senza esporre gli impianti, rimasti completamente sommersi nella compagine ossea, e senza dover ricorrere a tecniche di rigenerazione ossea maggiormente invasive per il paziente.
Scelti i mezzi, è stato programmato l’intervento previa esecuzione di una dima chirurgica che mi permettesse di sapere in che punto preciso inserire gli impianti, guidato da quella che sarebbe poi stata la loro finalizzazione protesica.

L’intervento è stato eseguito in anestesia locale, come un comune intervento di implantologia. Eseguito il lembo mucoperiosteo a spessore totale, è stata utilizzata la dima chirurgica per creare nella cresta ossea, con una fresa lanceolata, un invito in corrispondenza della posizione esatta degli impianti. Rimossa la dima, la preparazione dei siti implantari è stata eseguita utilizzando le frese di osseodensificazione a piccoli incrementi fino a raggiungere la profondità desiderata, nel nostro caso 14 mm, che è la lunghezza degli impianti Leone XCN® 2.9 utilizzati. L’utilizzo progressivo di queste frese mi ha permesso di espandere gradualmente la compagine ossea, fino al raggiungimento del diametro finale pianificato di 3 mm. In questo caso, e comunque soprattutto in mandibola, ho preferito sovradimensionare leggermente l’osteotomia in modo che fosse di poco più larga del diametro finale dell’impianto, per evitare che le spire comprimessero eccessivamente le pareti ossee espanse, con il rischio di esposizione delle stesse o di deiscenze e/o fenestrazione della corticale ossea.

Preparati i siti con le frese di osseodensificazione dedicate, sono stati inseriti 4 impianti Leone Narrow XCN® 2.9 secondo le modalità sopra descritte. Solo per ridurre al minimo il rischio di riassorbimento osseo, soprattutto in cresta, zona maggiormente stressata nelle fasi di osseodensificazione ed espansione con le frese, ho preferito proteggere il sito chirurgico attraverso un minimo riempimento con biomateriali eterologhi e una membrana riassorbibile fissata attraverso chiodini di osteosintesi (Figg. 5 a, b).

Il post-operatorio è stato accompagnato da leggero gonfiore e minimo dolore solo nell’arco delle 48 ore successive all’intervento.
A distanza di 5 mesi dall’intervento è stata effettuata una radiografia endorale (Fig. 6) ed è stata programmata la scopertura degli impianti, che evidenzia la completa osteointegrazione oltre all’aumento di osso intorno agli stessi (Figg. 7 a-e), considerando che la cresta ossea di partenza era ≤ 2 mm.

La successiva finalizzazione protesica, che ha richiesto un tempo di attesa di circa un mese, ha previsto l’inserimento dei tappi di guarigione, l’impronta e le varie fasi protesiche, sino alla consegna nel cavo orale della paziente di 3 corone (44-45 e 46) in metallo ceramica supportate dai 4 impianti inseriti precedentemente (Figg. 8 a, b). Le corone in metallo ceramica 44-45 sono state unite, mentre la corona del 46, singola, è supportata da 2 impianti, uno sulla radice mesiale e uno sulla radice distale, per una migliore distribuzione del carico masticatorio.
Il tempo di attesa tra l’intervento chirurgico e la consegna del lavoro definitivo fisso è stato di 6 mesi. Infine, a distanza di circa un anno è stato effettuato un controllo clinico ed una panoramica delle arcate dentarie per valutare radiograficamente la riabilitazione implantoprotesica (Fig. 9).

n questo caso in esame, la conoscenza di nuovi mezzi e di nuovi materiali mi ha permesso di effettuare un intervento particolarmente complesso in modo mini invasivo, con minor morbilità ed estrema soddisfazione per il paziente e riducendo enormemente i tempi di attesa tra l’intervento chirurgico e la finalizzazione protesica.

Realizzazioni protesiche:
Laboratorio Odontotecnico Giuseppe Spessi – Lecce

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