Cementazione e perimplantite

Novembre, 2019
Exacone News 28

Autore:
Dr. Fabrizio Dell’Innocenti
Libero professionista a Ponsacco (PI)

DEFINIZIONE di PERIMPLANTITE
“Processo infiammatorio che colpisce i tessuti intorno all’impianto osteointegrato portando alla perdita del tessuto osseo perimplantare”.

Ultimamente si fa un gran parlare di perimplantite attribuendone molto spesso la responsabilità alla cementazione. In buona sostanza tutte quelle procedure poco predicibili che potrebbero causare un eccesso di cemento residuo oltre al margine di chiusura della corona protesica sembrerebbero responsabili di perimplantite. In realtà le conclusioni del consensus meeting che si è tenuto a Roma nel gennaio del 2016 e i cui contenuti sono riportati in un articolo pubblicato sul “Clinical Implant Dentistry and Related Research”, dicono altro:

  1. La perimplantite non è un’entità ben definita.
  2. Non vi sono prove che esista una specifica malattia perimplantare con una sua propria eziopatogenesi.
  3. La progressiva perdita di osso perimplantare dopo il primo anno è una complicazione del trattamento non collegata a una “malattia”.
  4. Per la diagnosi sono necessarie radiografie eseguite periodicamente che accertino la perdita progressiva di osso.
  5. La profondità di sondaggio e il sanguinamento non sono segni diagnostici affidabili.
  6. La flogosi perimplantare non coincide necessariamente con una malattia a decorso progressivo.
  7. Non vi sono prove che la perimplantite colpisca i moderni impianti a media rugosità più di quelli usati in passato (titanio plasma spray e altri).
  8. La perdita progressiva di osso può dipendere da molti fattori collegati a:
    • IMPIANTO
    • OPERATORE
    • PAZIENTE
    • PROTOCOLLO
    • CARICO
    • CURA E MANUTENZIONE

che causano una reazione immunitaria di tipo osteolitico.
Cercherò di analizzare i singoli fattori dal punto di vista della mia esperienza clinica.

IMPIANTO

La mia scelta è stata per l’impianto XCN® Leone non tanto per il macrodesign, laddove nell’attuale palcoscenico merceologico le morfologie e le tipologie di spire si equivalgono, quanto per il microdesign. L’impianto Leone, fabbricato in titanio medicale grado 5, presenta una superficie HRS (High Rutile Surface) realizzata con un processo di sabbiatura che produce sull’impianto una rugosità con max Ra ≈ 2,5 micron. Tale rugosità aumenta la presenza di rutilo (ossido di titanio) disponibile. Il risultato è una superficie maggiormente favorevole al coagulo e quindi all’azione degli osteoblasti con una osteointegrazione maggiore e più rapida.

OPERATORE

Mi preme sottolineare la necessità di un’adeguata preparazione anatomica e chirurgica. Tale preparazione non sarà necessariamente legata all’anzianità del clinico né tantomeno alle varie metodiche di progettazione e posizionamento implantare, ma essenzialmente al concetto di “preparazione teorico-pratica” del clinico nel suo significato intrinseco.

PAZIENTE

Sarà sempre buona regola redigere un’anamnesi sistemica e odontoiatrica secondo un approccio medico globale piuttosto che settoriale odontoiatrico. Il paziente potrà infatti presentare limiti odontoiatrici oggettivi (come deficit ossei in altezza, spessore e densità, zone cistiche o settiche, problematiche articolari o gnatologiche) ma anche limiti sistemici (come diabete, coagulopatie, allergie, assunzione di farmaci a rischio di osteonecrosi).

PROTOCOLLO CHIRURGICO

Questo parametro condizionerà molto il successo implantologico. Esistono varie modalità con cui affrontare un intervento implantologico. Potremo seguire la tecnica tradizionale con apertura di lembo, una tecnica flapless, una chirurgia guidata software assistita, un carico immediato o differito. Restano in ogni caso da rispettare i concetti base della chirurgia implantologica e parodontale ovvero le regole generali di perforazione ossea, la valutazione della densità, il riscontro di una stabilità primaria adeguata, una chirurgia ricostruttiva correttamente eseguita, una gestione chirurgica congrua dei tessuti molli.

PROTOCOLLO PROTESICO

Secondo la mia esperienza clinica il protocollo protesico deve perseguire due obiettivi: la stabilità impianto-moncone e la stabilità moncone-corona. La mia scelta è stata a favore della sistematica XCN® Leone in cui la connessione impianto-moncone è di tipo conometrico (cono Morse). Il cono Morse è un incastro fra cono femmina e cono maschio attraverso un meccanismo di attrito. Questo concetto si traduce in un’assenza di vite. Per il funzionamento ottimale del giunto sono fondamentali:

  • angolo del cono piccolo (angolo totale di 3°);
  • ampia superficie di attrito fra i due coni (L 3,78 mm).

Una volta attivata la connessione autobloccante, impianto e moncone diventano un pezzo unico. Quanto detto determina:

  • assenza di micromovimenti relativi tra le due parti;
  • assenza di microgap;
  • elevata resistenza al carico masticatorio anche dislocante.

Queste caratteristiche sono associate a un particolare aumento di volume del tessuto molle sopracrestale perimplantare (platform switching). Le due proprietà insieme preservano l’osso marginale da microfratture, riducono il rischio di un progressivo riassorbimento di questa porzione ossea e garantiscono un perfetto sigillo microbiologico.
La sistematica XCN® Leone offre altresì tutte le possibili forme di protesizzazione. Delle quattro variabili, soltanto una utilizza cemento mettendo a disposizione del clinico ben tre possibilità per ovviare al rischio di perimplantite dovuta a cemento.
Nella documentazione fotografica riportiamo le quattro variabili:

  1. cementazione intraorale (Figg. 1 – 2);
  2. cementazione extraorale (Figg. 3 – 10);
  3. protesi avvitata (Figg. 11 – 22);
  4. protesi conometrica (Figg. 23 – 40).

1. CEMENTAZIONE INTRAORALE

2. CEMENTAZIONE EXTRAORALE

3. PROTESI AVVITATA

3. PROTESI CONOMETRICA

CARICO MASTICATORIO

Il momento in cui sottoponiamo l’unità implantoprotesica al carico, rappresenta la “messa in strada” della nostra riabilitazione. Il feedback viene infatti dato dalla masticazione con tutte le sue funzioni e parafunzioni. Spesso ci troviamo di fronte ad espressioni di soddisfazione del paziente e del clinico quando in occlusione la corona appena consegnata “non si sente” perché in realtà non occlude. Niente di più sbagliato!!!
Il primo concetto riguarda la verifica del carico. I test in bocca devono essere fatti nella relazione centrica (P.I.M.) e nelle funzioni base (protrusiva, retrusiva, lateralità destra e sinistra). Il secondo concetto riguarda la misura del carico.

L’idea di carico masticatorio passa attraverso la ben nota LEGGE DI WOLFF secondo la quale “Nell’osso la forma segue la funzione”. La forza, o per meglio dire la tensione applicata sull’unità implantoprotesica, si scarica sull’osso di sostegno dell’impianto. Considerando che l’unità di misura con cui si valuta il carico sulla corona è il “microstrain”, analizziamo le variabili:
a) In condizioni di edentulismo da estrazione ci troveremo di fronte ad un carico minore di 200 microstrain. Questa condizione porterà ad atrofia ossea da disuso paragonabile a quella che avviene in assenza di carico per mancato contatto.
b) Quando l’impianto dentale è sottoposto ad un carico compreso tra 200 e 2500 microstrain ci troviamo nel range fisiologico delle forze occlusali. Questa condizione ideale porterà al mantenimento della quantità ossea perimplantare passando attraverso fasi di perdita e di neoformazione ossea.
c) Nel caso in cui il carico aumenti ma sia compreso fra 2500 e 4000 microstrain la condizione si considera ai limiti, quindi a rischio. L’osso perimplantare è già in sofferenza e il carico eccessivo determinerà aumento di densità ossea ed ipertrofia. Questo status ancora non compromette la stabilità implantare ma rappresenta la fase immediatamente antecedente alla perdita ossea.
d) Oltre i 4000 microstrain non è più considerato carico bensì “sovraccarico”. Questa condizione, in cui la forza è maggiore della capacità dell’interfaccia ossea di sopportare il carico, porta inevitabilmente al riassorbimento dell’osso perimplantare e alla progressiva mobilizzazione della fixture fino alla sua perdita.

Da quanto detto si evince che il carico masticatorio è un parametro molto importante e che un danno all’osso perimplantare lo abbiamo sia nel caso di sovraccarico con riassorbimento che nel caso contrario di assenza di carico con atrofia da disuso.

CURA E MANUTENZIONE

La sopravvivenza a lungo termine della riabilitazione implantare è il frutto di uno sforzo coordinato sostenuto pariteticamente dall’equipe odontoiatrica e dal paziente stesso. A tale proposito diventano di fondamentale importanza due fattori:

  • la scelta di dispositivi per l’igiene orale professionale che si dimostrino efficaci nella rimozione di placca batterica e tartaro, ma che non inducano danni alle superfici implantoprotesiche (strumenti manuali, ad ultrasuoni, nebulizzatori con sostanze specifiche).
  • La scelta di dispositivi per l’igiene orale domiciliare che permettano al paziente di mantenere condizioni ottimali di igiene orale nel quotidiano e che, nei limiti del possibile, siano di facile utilizzo (spazzolino, filo interdentale con e senza spugnetta, scovolino, idropulsore, collutori).

Da notare che in condizioni di igiene orale non ottimali il biofilm batterico può mutare nella composizione ed arricchirsi di ceppi anaerobi gram negativi tra i quali si repertano anche le specie microbiche responsabili dei processi flogistici parodontali e perimplantari.

Conclusioni

Concludo questo scritto rimarcando la multifattorialità patogenetica della perimplantite. Scorrette modalità e tipologie di cementazione sicuramente possono indurre ad una sofferenza perimplantare ma anche tutti gli altri fattori menzionati possono contribuire alla stessa patogenesi. Nessuna evidenza scientifica e risultati clinici ad oggi possono aiutarci nel considerare più incidente l’uno o l’altro fattore.

Realizzazioni protesiche: Odt. Massimiliano Pisa- Dental Giglio, Firenze

Novembre, 2019 - Exacone News 28